“Se non stai buono, ti do una sculacciata”. Spesso i bambini sono maestri nel portare al limite della sopportazione umana la pazienza genitoriale. Anche nelle famiglie migliori, con i figli meglio educati, capita sempre il momento in cui l’esasperazione arriva al culmine e si arriva alle minacce, se non addirittura alla vera e propria sculacciata. Oggigiorno, e fortunatamente, sembra essere passata di moda, soprattutto perché le recenti norme riguardanti la violenza sui minori intimidiscono chiunque, e a volte si ha quasi paura nel confessare di essersi fatti scappare uno schiaffo, quasi come se si fosse commesso un grave crimine, e si preferisce tacere la cosa.
Oltre che dalla dimensione etica e sociale, dovremmo essere, però, più intimoriti del risvolto educativo e pedagogico che le nostre azioni hanno sui figli. I bambini apprendono (ad-prendere), soprattutto in tenera età, osservando gli esempi che li circondano, molto spesso forniti dalle figure genitoriali.
Un buon esempio è tutto quello che ci vuole
Le principali teorie dell’apprendimento sociale evidenziano come il processo di apprendimento non debba necessariamente avvenire tramite contatto diretto con oggetti e persone, ma che si possa imparare qualcosa anche attraverso esperienze indirette, sviluppate cioè attraverso l'osservazione di altri. Questi individui avranno quindi la funzione di “modelli”. Di conseguenza, il comportamento che un genitore dovrebbe avere, esclude la violenza fisica o verbale, di qualunque genere, come metodo educativo. Un bambino che viene picchiato regolarmente diventerà con maggiori probabilità un bambino e poi un adulto aggressivo, con tutti i rischi e le problematiche connesse, per sé e per gli altri. Certo, non è il caso di estremizzare, o preoccuparsi esageratamente se quella volta “scappa” una sculacciata sopra al pannolone, o uno schiaffetto alle mani: se si tratta di un piccolo episodio isolato, non dovrebbe creare alcun problema. Però è bene valutare che non si stia esagerando.
Basta dire NO (ed essere convincenti!)
Ovviamente esistono strategie e metodi alternativi per non dover ricorrere alle mani, ad esempio i rinforzi positivi, o premi, da darsi (ovviamente senza abusarne) nel momento in cui i bambini si stiano comportando adeguatamente o abbiano obbedito ad una richiesta del genitore. Dovesse rendersi necessaria una ripresa, è sempre meglio che rimanga un richiamo verbale, non troppo acceso (senza che si alzi esageratamente la voce o che si utilizzino toni e mimica aggressivi), e, se si tratta di bimbi piccoli, senza troppe spiegazioni: a due o tre anni i bambini non sono in grado di capire i motivi per cui una cosa andrebbe o non andrebbe fatta. Perciò, a volte, basta un “NO” deciso, soprattutto in situazioni di pericolo, utilizzato con parsimonia e solo quando realmente necessario, unito ad un atteggiamento corporeo simile, che non lasci adito a fraintendimenti; in questo modo i bambini impareranno che vi sono delle occasioni in cui non possono agire come desiderano e accetteranno di buon grado la potestà genitoriale.
Importante, poi, è che i genitori lavorino sempre in coppia, con coerenza e utilizzando una stessa metodologia concordata. Così al bambino arriverà un messaggio chiaro, univoco insieme alla percezione che mamma e papà hanno lo stesso pensiero e modo d’agire riguardo a determinate azioni, poiché rispondono ai suoi comportamenti in maniera sempre uguale.
In conclusione bisogna cercare di non alzare le mani sui bambini, neppure quando la pazienza è al limite, utilizzando metodi alternativi, quali premi o riprese verbali decise e non aggressive. Così facendo e unendo sempre l’amore che provate per i vostri figli, cresceranno disponibili ad accettare le regole e a relazionarsi con gli altri così come hanno visto fare da voi, senza violenza ed eccessi ma con decisione ed equilibrio.